«Che la salma di un soldato italiano, che non si sia riusciti a identificare, rimasto ucciso in combattimento, sul campo, venga solennemente trasportata a Roma e collocata al Pantheon — simbolo della grandezza di tutti i soldati d’Italia, segno della riconoscenza dell’Italia verso tutti i suoi figli, altare del sacro culto della Patria».
Con queste parole il generale Doueht, anch’egli reduce della Prima Guerra Mondiale, propose la costituzione di un monumento a un soldato ucciso in battaglia, la cui identità non fosse stata possibile risalire. Ma dietro questa richiesta, nell’animo del generale ribelle – fu incarcerato per un anno per aver criticato i vertici militari – c’era la voglia di ridare dignità e orgoglio alle Forze Armate italiane.
Questo 4 novembre ricorre il centenario della tumulazione della salma del Milite Ignoto all’Altare delle Patria. Tutti i Governi, così come i presidenti della Repubblica che si sono succeduti in questi 70 anni di vita repubblicana o le decine di delegazioni di capi di stato, tutti hanno reso omaggio al sacrificio del soldato della Prima guerra Mondiale, diventando di fatto un momento principale di tutte le celebrazioni della vita repubblicana.
Era il 17 luglio 1920 quando venne accolta la proposta del generale Giulio Douhet dalle associazioni “Garibaldi. Società dei Reduci delle patrie battaglie” e la “UNUS” (Unione Nazionale Ufficiali e Soldati). Il generale Doueht, in forte polemica con Luigi Cadorna e gli alti comandi militari, voleva sottolineare come, malgrado l’incapacità dei dirigenti politici e militari, i soldati italiani si erano distinti per coraggio e tenacia militare, portando la Patria alla vittoria.
Le critiche del generale Doueht erano rivolte soprattutto al generale Luigi Cadorna, che diresse con poteri quasi assoluti le operazioni del Regio Esercito nella prima guerra mondiale dall’entrata dell’Italia nel conflitto, maggio 1915, alla disfatta di Caporetto. Convinto sostenitore dell’assalto frontale a oltranza, Cadorna condusse le offensive italiane con energia e rigidità durante quasi tutto l’arco del conflitto sino alla sua destituzione.
Per oltre due anni continuò a sferrare durissime e sanguinose offensive frontali, le cosiddette “spallate”, contro le munite linee difensive austro-ungariche sull’Isonzo e sul Carso, ottenendo modesti risultati di avanzamento territoriale. Essi misero a dura prova il nemico, ma ancora di più l’esercito italiano con perdite enormi di uomini; sorpreso dall’offensiva austro-tedesca di Caporetto, dovette battere in ritirata fino alla linea del Piave e, ritenuto responsabile della disfatta, da lui invece attribuita alla scarsa combattività di alcuni reparti, venne sostituito dal generale Armando Diaz.
Il generale Doueht, scrisse nell’agosto del 1920:
«Tutto sopportò e vinse il nostro soldato. Tutto. Dall’ingiuria gratuita dei politicanti e dei giornalastri* che sin dal principio cominciarono a meravigliarsi del suo valore, quasi che gli italiani fossero dei pusillanimi, alla calunnia feroce diramata per il mondo a scarico di una terribile responsabilità. Tutto sopportò e tutto vinse, da solo, nonostante. Perciò al soldato bisogna conferire il sommo onore, quello cui nessuno dei suoi condottieri può aspirare neppure nei suoi più folli sogni di ambizione. Nel Pantheon deve trovare la sua degna tomba alla stessa altezza dei Re e del Genio.»
Il progetto di legge per la «Sepoltura della salma di un soldato ignoto» fu presentato alla Camera dei deputati il 20 giugno 1921, pochi giorni prima delle dimissioni del quinto governo Giolitti. Il 5 agosto si svolse la votazione a scrutinio segreto con 199 voti favorevoli e 35 contrari.
La scelta della salma da inviare a Roma fu articolata, e furono presi in considerazioni molti elementi. A ottobre la commissione individuò le salme degli undici soldati in diverse località, cercando di includere luoghi del fronte italiano in cui avevano combattuto le diverse armi, compresa la Regia Marina. Alcune indicazioni sui luoghi esaminati furono fornite in una successiva pubblicazione:
Secondo le istruzioni del ministero le undici bare, identiche per forma e per dimensioni, furono riunite nella basilica di Aquileia entro il 28 ottobre. Quel giorno, alle ore 11, alla presenza di rappresentanti delle istituzioni e di mutilati, di ex combattenti e di madri e di vedove di caduti fu designata la salma del Milite Ignoto da parte di una «madre di un caduto non riconosciuto ed in modo che la cassa prescelta non si sappia da quale zona del fronte provenga».Fu Maria Maddalena Blasizza di Gradisca d’Isonzo a scegliere la bara. Il figlio Antonio Bergamas, ebreo triestino, era maestro comunale; nel 1914 disertò dall’esercito austroungarico e passò in Italia dove si arruolò volontario sotto falso nome, raggiungendo il fronte nel giugno 1915. Cadde il 18 giugno 1916 e fu decorato con medaglia d’argento al valore militare; fu sepolto in un cimitero poi bombardato, rendendo impossibile il riconoscimento del defunto.
La bara prescelta fu inserita in una cassa speciale inviata dal ministero della guerra. Era una cassa in legno di quercia con decorazioni in metallo in ferro battuto, forgiato da scudi di trincea e sorretto da bombe a mano tipo SIPE. Sul coperchio erano fissati un elmetto, un fucile e una bandiera tricolore. Le altre dieci salme rimasero ad Aquileia per essere sepolte solennemente il 4 novembre nel cimitero della basilica.
Il 4 novembre, terzo anniversario della fine della guerra, alle 8:30 la bara fu caricata su un affusto di cannone. Il lungo corteo delle varie armi di Esercito, Marina, Guardia di Finanza e Guardia di Pubblica Sicurezza precedeva il carro, seguito a sua volta da dieci madri e da dieci vedove di caduti, da rappresentanti di cariche dello Stato e dell’Esercito e da rappresentanza di mutilati e di ex combattenti. All’Altare della Patria attendevano il corteo il re Vittorio Emanuele III con la famiglia reale e le più alte cariche dello Stato, insieme a rappresentanze di madri e di vedove di caduti, rappresentanze di grandi mutilati, rappresentanze di associazioni e di ex combattenti. Il corteo giunse alle 9:30 riempiendo la piazza; la bara fu portata a spalla alla tomba e sepolta accompagnata dal saluto militare.
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