La politica ci ha abituati a tutto, spesso a spettacoli poco edificanti che hanno nulla a che fare con il senso intrinseco, etimologico del termine, dal greco antico politikḗ (“che attiene alla pόlis”, la città-stato), con sottinteso téchnē (“arte” o “tecnica”), talvolta parafrasato in “tecnica di governo (della società)”.
Una delle azioni che per i politici genera “peccato mortale”, oltre a corruzione e ladrocinio, c’è il tradimento della fiducia degli elettori, che folcloristicamente è indicato come voltagabbana.
La storia repubblicana, specie dell’ultimo ventennio, è piena di voltagabbana. Il record di casi appartiene alla XVII legislatura – 2013/2018 – che ha stracciato tutti i record: un puntiglioso calcolo fatto da Openpolis fissa a quota 526 i «cambi di casacca» (297 alla Camera, 229 al Senato).
Le ragioni del cambio di casacca possono essere molteplici – raramente c’entrano gli ideali – e tra gli elettori che vedono il loro rappresentante cambiare schieramento, il senso di sfiducia e tradimento darà adito a quello che semplicisticamente i politologi chiamano disaffezione dalla politica, in altre parole il qualunquismo che finirà per far dire “sono tutti uguali”, e in effetti in questa affermazione un fondo di verità c’è perché sono sempre gli stessi che vanno in cerca di una “cadrega” da occupare.
Ed ecco che alle urne sempre meno elettori si recano a scegliere chi dovrà rappresentarli e quando ci vanno lo fanno sempre con il dubbio – starò facendo bene? – perché non conoscono personalmente i candidati, li sentono distanti, li hanno visti parlare solo in televisione, nei comizi, magari sentendoli ripetere sempre gli stessi concetti.
Ma cosa succede quando tutto ciò accade in ambito locale, quando il rappresentante che abbiamo votato, magari parte di una Lista civica, come a sottolineare una certa distanza dalla politica dei partiti tradizionali, sceglie di cambiare casacca e decide di sedere in consiglio comunale sotto un altro vessillo, magari proprio di uno di quei partiti nazionali da cui la Lista Civica tentava di stare lontana?
Segrate Nostra, la lista civica che ha messo a sedere sulla poltrona di primo cittadino Paolo Micheli e ha contribuito anche alla sua rielezione, si sta trasformando lentamente, forse sperando che gli elettori e i sostenitori della lista civica non si accorgano della mutazione?
Se per i voltagabbana nazionali l’effetto distanza mitiga l’amarezza per aver votato qualcuno che ha tradito la fiducia, che ha deciso di non rappresentare più le istanze che lo avevano portato nel Palazzo, in ambito locale, in una cittadina di poche migliaia di cittadini, tutto ciò potrebbe avere un sapore diverso. C’è sempre l’illusione che la politica locale abbia un fine e uno scopo diverso, magari più immediato e più vicino alla collettività, illudendoci forse anche più nobile. Quello che si decide in Consiglio comunale ha effetti immediati sulla vita dei cittadini, più diretti e tempestivi delle scelte nazionali che magari devono passare per i due rami del Parlamento. I Consiglieri comunali scelti dai cittadini sono gente del posto, magari vicini di casa che incontri dal fornaio, amici dell’oratorio, a cui è stato affidato un compito ben preciso, magari fondato su un programma ben circoscritto che costituisce il patto di fiducia che lega il candidato al suo elettore, senza per questo confluire in un vincolo di mandato.
I Costituenti, nel concepire l’articolo 67 della Costituzione italiana pensarono a garantire la libertà di espressione ai membri del Parlamento italiano. In altre parole, per garantire la democrazia, ritennero opportuno che ogni singolo parlamentare non fosse vincolato da alcun mandato né verso il partito cui apparteneva quando si era candidato, né verso il programma elettorale, né verso gli elettori che, votandolo, gli avevano permesso di essere eletto a una delle due Camere (divieto di mandato imperativo). Il vincolo che lo lega agli elettori assume, invece, la natura di responsabilità politica.
Gli elettori della lista civica Segrate Nostra faranno molta fatica a trovare nel loro programma quanto propongono i nuovi referenti politici di consiglieri e assessore che avevano scelto per farsi rappresentare in comune, e non sappiamo se questi rappresentanti hanno chiesto ai loro elettori se sono felici di essersi svegliati renziani o calendiani, sempre che faccia qualche differenza e se sono altrettanto felici di essere rappresentati in Consiglio comunale sotto una nuova bandiera, per non parlare del candidato alle prossime regionali. Cambiare idea è lecito il trasformismo un po’ meno.
Forse il concetto di responsabilità politica che i padri Costituenti vollero dare all’ articolo 67 della Costituzione per taluni è considerato vecchio, solo un retaggio di una Costituzione che celebra 75 anni e che nonostante i molteplici attacchi continua a essere la cosa più attuale della nostra vita politica.
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Il trasformismo in Italia è sempre stato di casa ma adesso, come ben documentato nell’articolo ha raggiunto, livelli patologici.
A livello locale , poi, quando un assessore passa da una lista civica ad un partito non in sintonia con gli altri partiti della maggioranza provoca solo danni. Si può cambiare idea e casacca ci mancherebbe ma bisognerebbe avere il buon gusto mettere a disposizione il proprio incarico. Ma evidentemente il profumo della Candrega è ammaliatore.