In Comune

Diario di uno scrutatore

«Pronto? Ciao, come stai, ti disturbo? Vorresti fare lo scrutatore domenica prossima, sai, mi hanno chiamato dall’Ufficio elettorale del Comune, sono disperati, manca un po’ di gente».

«Sì, volentieri»,

«Ok, tieni il cellulare acceso, ti chiameranno».

Il ricordo che ho della prima elezioni elettorale è allegro e risale alla fine degli anni 60, non capivo cosa si festeggiasse, si stava a casa da scuola ed era pur sempre una vacanza, e questo bastava.

Insieme al mio amico Roberto, che abitava al piano di sotto, mio omonimo, più vecchio di dieci mesi, andavamo in giro per tutto il quartiere a raccogliere i “santini” elettorali, quelli della DC erano ovunque ed era facile trovarli, anche se alcuni di qualche candidato erano più rari e allora le quotazioni salivano: un Rumor poteva valere anche dieci Malagodi.

Altrettanto difficili da trovare erano quelli di Ugo La Malfa, nel mio quartiere la facevano da padrone DC e PCI, si erano spartiti la piazza, stavo assistendo, inconsapevolmente, alla nascita del Compromesso storico.

Quando poi il ricordo delle stagioni elettorali cominciano a impilarsi, l’uno sull’altro, a stento distinguo il referendum sul divorzio da quello sull’aborto, troppo giovane per essere così impegnato, avevo altro per la testa e poi la politica fino ai quarant’anni mi ha annoiato.

Fare lo scrutatore è certamente una bella esperienza, contare le schede e leggere il voto degli italiani, prima di chiunque altro, prima degli exit-poll, prima di Mentana e di qualsiasi TG è il sogno di ogni giornalista.

Le elezioni viste dal di dentro, da uno di quei 9254 seggi sparsi per tutta la Lombardia, da Varese a Mantova e da Sondrio a Pavia, dove poco meno di 10 milioni di lombardi saranno chiamati a votare, è certamente un’occasione unica, e poi mi dà la possibilità di conoscere i segratesi, i miei concittadini da poco meno di trent’anni. Li vedrò sfilare davanti alla cabina elettorale, troverò qualche faccia conosciuta o saranno per lo più volti a me nuovi?

L’appuntamento è per il sabato pomeriggio alle 15,30 per la formazione del seggio ed espletare le prime formalità. Laura è il presidente, o la presidente – mi sono scordato di chiederglielo – mi dicono una veterana, non perché sia anziana – quel primato spetta a me tra i componenti del seggio – ma perché ha una certa esperienza, l’ha fatto diverse volte. Siamo in sei, presidente, segretario e quattro scrutatori. Le cabine, all’interno dell’aula della scuola elementare, sono già allestite, numerate, pronte per accogliere la volontà popolare e non posso fare a meno di controllare da dove Dio potrà sbirciare, in danno di Stalin. Dietro le tende, nell’intimità del ventre repubblicano e del segreto che la Costituzione garantisce, i lombardi sceglieranno chi li governerà, chi penserà alla loro salute, a come si muoveranno, alla scuola dei loro bambini: Dio solo sa se gli eletti saranno all’altezza, ma questo è il gioco della democrazia e mi viene in mente la frase “i cattivi rappresentanti sono eletti dai bravi cittadini che non votano” ma non ricordo il suo autore.

Un enorme sacco di plastica sigillato è già all’interno dell’aula, dentro tutto l’occorrente. Come una matriosca, il sacco contiene buste dentro altre buste e un numero imprecisato – almeno per me – di altre buste, questa volta di carta scura, che dovranno essere riempite di altre buste, contenenti le schede, quelle buone, quelle annullate, quelle bianche e quelle contestate, quelle non utilizzate ma validate e quelle non utilizzate e non timbrate. E poi un numero – anche questo sconosciuto per me – di registri, di enormi libroni, di casellari per le preferenze, di quaderni dove annotare il voto di militari e personale marittimo di passaggio, dove annotare il numero della scheda elettorale e il numero progressivo delle liste elettorali, dove annotare gli elettori che si sono fatti assistere nelle operazioni di voto specificando il grado e la natura dell’impedimento. 

Da scrutatore dovremo indagare, scrutare appunto, chi ha autorizzato l’assistenza al voto: il sindaco? Il medico? Il prefetto? E nel registro cosa scrivere: “affetto da.. certificato da”? 

In una piccola scatola di cartone c’è il timbro, quello con l’effige della Repubblica, tanto caro a Checco Zalone, simbolo del posto fisso, che sancisce l’ufficialità delle operazioni, come quello dei notai, e per due giorni sarà proprio questo il mio lavoro, una sorta di notaio delegato alla raccolta dei dati dei segratesi votanti. Nella stessa busta del timbro ci sono le matite copiative, quelle che serviranno a indicare il voto e guai a perderne una, in quel caso bisognerà subito informare i Carabinieri, la stessa cosa vale per le schede non restituite o danneggiate, e a fine operazioni tutto dovrà essere riportato in uno specifico registro. Ad accompagnare il tutto due copie del manuale di 156 pagine “Istruzioni per le operazioni degli uffici elettorali di sezione” che, teoricamente, tutti gli addetti del seggio dovremmo aver letto.

Nel manuale è descritto tutto, previsto ogni evenienza, codificata ogni azione e immaginata ogni ipotesi, nessun margine all’interpretazione o alla fantasia, ogni norma è riportata per i diversi tipi di seggio: ordinario, speciale, volante, ospedaliero. Sono riportate indicazioni che sembrano a prima vista assurde ma il legislatore non ha voluto lasciare nulla la caso: 

§ 37. Accertamento dell’arredamento della sala della votazione. Subito dopo la costituzione del seggio, il presidente, con l’aiuto degli altri componenti, accerta se l’arredamento della sala della votazione risponde alle esigenze illustrate al paragrafo 27.

Di tale accertamento e dei provvedimenti adottati per eliminare eventuali mancanze, si

deve prendere nota nel verbale del seggio.

Dal 1995, ininterrottamente, il centrodestra detiene la Presidenza del consiglio della Lombardia, trent’anni in cui il pragmatismo lombardo si è saldato all’idea di una politica del fare, del decidere e dell’autonomia amministrativa da Roma. Per gli storici sarà un bel grattacapo raccontare questi anni in cui la Lombardia è diventata una delle regioni più ricche e più avanzate d’Europa ma che ha visto anche peggiorare progressivamente le condizioni di alcune fasce della popolazione, come il ceto medio, quasi da farlo sparire. Milano detiene alcuni primati: prima città italiana per studi universitari: maggior numero di centri universitari (39), maggior numero di laureati e studenti post-laurea, maggior numero di facoltà universitarie. Prima città europea per cablatura con ogni appartamento potenzialmente collegabile tramite fibra ottica, ha gli affitti più cari d’Europa e il prezzo di un metro quadrato in via Montenapoleone è tra i più cari al mondo. Un monolocale a Milano costa quanto un appartamento di tre camere nel resto del Paese. La richiesta di abitazioni cresce ma la risposta del mercato sembra privilegiare solo case di lusso o a prezzi difficilmente abbordabili da una famiglia monoreddito, e così Milano pian piano si salda ai comuni circostanti, con effetti devastanti per i piccoli centri dell’hinterland che diventano sfogo per la grande città. Milano e la Lombardia crescono ma chi sta pagando per tutto ciò? e, soprattutto, Milano non è la Lombardia, la saldatura tra le politiche di centrodestra regionale e di centrosinistra comunale hanno dato il meglio delle due visoni politiche privilegiando le eccellenze, la finanza, i grandi gruppi industriali e l’economia dei capitali creando sacche sempre più evidenti se non di povertà ma di marginalità, mentre la popolazione invecchia e le giovani famiglie sono mosche bianche.  

Ore sette, si comincia.

Il Presidente del seggio accertato che tutto è come da manuale e verificato che i sigilli apposti la sera prima siano integri, dà inizio alle operazioni di voto. La prima operazione è accertarsi dove si trovano le macchinette del caffè e la delusione è forte, dall’ultima volta, a settembre per le politiche, le macchinette non ci sono più, c’è sgomento: due giorni senza caffè potrebbero far traballare tutte le operazioni di spoglio, ma poi si scopre che sono solo state spostate in un’altra stanza, dietro l’ingresso: le elezioni sono salve, almeno in questo seggio.

A me tocca la lista dei votanti uomini, e il primo è un pensionato, di origini pugliesi, saranno quasi la maggioranza del seggio gli oriundi pugliesi e siciliani a dimostrazione che Segrate, negli anni Sessanta, era un satellite dormitorio del grande capoluogo, prima di diventare la città che ospita Milano Due, il modello avveniristico degli anni Settata di residenza nel verde del costruttore Silvio Berlusconi. Da lì Segrate, e più segnatamente l’area di Milano Due trascineranno i prezzi dell’abitazioni in alcune parti della città.

Adeguatamente istruito dalla presidente del seggio – ho deciso io il femminile – inizio il mio lavoro di scrutatore: verifico che la scheda elettorale abbia sufficiente spazio per ricevere la nuova timbratura, mi accerto della validità del documento d’identità e pronuncio solennemente e con una certa soddisfazione – quasi fossi io a concedergli la facoltà di esprimere la sua preferenza – “il signore può votare”.

L’afflusso è lento, incomincio a conoscere meglio i miei colleghi componenti del seggio: due maestre d’asilo, una giovanissima studentessa diciottenne, due dipendenti comunali segratesi.

Tutti hanno già esperienza, io sono l’unico neofita e cerco d’impegnarmi per far fare bella figura a tutto il seggio, la competizione tra seggi è serrata. A mezzogiorno il primo dato, neanche un centinaio di votanti tra donne e uomini, scatta la gara: indovinare l’affluenza alla fine. Manco a dirlo c’azzecco, essendo stato il più pessimista del gruppo. Il nostro seggio fa anche peggio del resto della sezione, la percentuale si ferma vicino al 40%.

Lentamente le operazioni di voto procedono senza problemi e fortunatamente non dobbiamo ricorrere alla consultazione del Capitolo XVII del manuale d’Istruzione per le operazioni di voto, capitolo dedicato alle anomalie di voto.

   CAPITOLO XVII – Casi anomali nel corso della votazione 

Elettore che viene allontanato dalla cabina.

Elettore che consegna al presidente una scheda mancante del bollo della sezione o della firma dello scrutatore. 

Elettore che non restituisce la scheda. 

Elettore che non vota nella cabina. 

Scheda deteriorata. 

Elettore che non restituisce la matita copiativa utilizzata per l’espressione del voto. 

Rifiuto di ritirare la scheda. 

Restituzione della scheda prima di entrare in cabina. 

Reclami e dichiarazioni di astensione o di protesta.

Tutto fila liscio, lentamente. Intanto arrivano i primi generi di conforto dall’esterno: una sorpresa della presidente, cornetti freschi recapitati direttamente al seggio. Fin li ci eravamo arrangiati con le chiacchiere offerte dalla mamma della giovane collega, che ha una certa esperienza e conosce le durezze del seggio: i generi di conforto non devono mancare. 

Pian piano il seggio si anima, gli uomini prevalgono. La media dei votanti è over cinquanta, pochi i trentenni, pochissimi i giovanissimi, chissà perché, in fondo molto riguarda loro e forse la responsabilità è proprio degli over cinquanta, dei boomers – come dice mia figlia – non siamo stati in grado di interessarli, di coinvolgerli. La cosa che riguarda più di tutto il futuro di ognuno, che dovrebbe dare risposte alle aspettative, dovrebbe essere la politica che per molti è una materia noiosa e per alcuni anche sporca, fatta di intrallazzi e compromessi al ribasso. A volte lo penso anch’io ma penso anche alle migliaia di italiani che hanno dato la vita per poterci permettere il lusso di snobbare la politica e penso anche ai primi votanti italiani, molti analfabeti, a cui fu permesso di votare, con una croce e oggi, in fondo, facciamo lo stesso, retaggio di una condizione che abbiamo dimenticato. 

Nel seggio è rappresentato tutto il Paese, i segratesi sono l’espressione degli anni 60,70 e 80, quando arrivarono qui da tutta Italia ed erano poche migliaia, oggi siamo trentamila, e nei prossimi anni sono attesi almeno un altro 10/20 per cento di nuovi residenti.

Le mani che mi porgono la tessera elettorale raccontano vite di lavoro operario, di artigiani, di impiegati dell’Italia del boom economico, arrivati qui, a due passi dalla Madonnina, forse per scelta, molti probabilmente per necessità, per sfuggire dalle condizioni di vita che la grande città impone.

Due righe con lo stesso cognome sull’elenco dei votanti, è capitato per un momento di fare confusione, poi la data di nascita rivela che non può esserci dubbio, padre e figlio, il primo nato in qualche località del sud, il figlio a Milano. Parlando, l’accento rivela i natali del primo, del figlio solo il cognome tradisce le origini. 

La carta d’identità ti dice dove e quando è nato, dove risiede ma non hai nessun elemento per tentare di capire come potrebbe votare, su cosa metterà la croce. Nella Prima repubblica era tutto più semplice, gli operai e i lavoratori dipendenti non avrebbero mai votato il partito dei padroni, la Democrazia Cristiana era l’unico grande partito che poteva mettere d’accordo gli uni e gli altri, anche se con molte sfaccettature. Alle prime elezioni repubblicane lo scontro fra le due Italie,

la Democrazia Cristiana di Alcide Degasperi, l’uomo venuto dal Tesino e il Fronte democratico popolare di Palmiro Togliatti l’uomo venuto da Mosca, fra la Chiesa di Pio XII e l’America del Piano Marshall da una parte e l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche di Giuseppe Stalin, avrebbero segnato l’Italia definitivamente, da allora gli italiani votano più spesso secondo ideologia, meno secondo convenienza. Gli Stati Uniti ogni quattro anni eleggono il presidente, e molti non hanno nessun timore o vergogna a dichiarare di aver votato presidenti dell’uno e dell’altro schieramento. Un comunista in Italia non può morire fascista e un fascista non può morire comunista. Il cambio di casacca è uno sport molto in voga tra i parlamentari delle ultime 4/5 legislature, ma sono aggiustamenti logistici, rare le conversioni totali e ideologiche.

La prima giornata si chiude, così come si era aperta, lentamente. Tutti telegiornali parlano della bassissima affluenza, i commentatori politici tentato di spiegare quello che è fin troppo evidente: l’effetto Meloni travolgerà ogni risultato, per molti la partita è chiusa ancora prima di votare e decidono di non andare, tanto è inutile o comunque qualcuno voterà la Meloni anche per loro.

Ore sette, lunedì.

Si voterà fino alle 15, poi si passerà subito alle operazioni di scrutinio. Ci portiamo avanti, iniziamo a organizzare il flusso di lavoro, come effettuare lo spoglio, come redigere i verbali, un lavoro complesso, spesso ripetuto per due volte su distinti elenchi.

Ore dodici, la percentuale è sempre più vicina al mio pronostico, bassissima.

Il dovere di membro di seggio elettorale non esclude che i componenti possano mangiare, e allora patatine appena fritte dal mercato del lunedì che si tiene proprio di fronte alla scuola. 

La macchinetta del caffè scoperta in ritardo, forse per farsi perdonare, elargisce qualche caffè gratis. 

È ora, sono le quindici.

Fine delle operazioni di voto, la scuola è chiusa e ogni seggio inizia il conteggio. Il segretario del seggio, manuale alla mano, indica le modalità di conta, la presidente controlla le operazioni, noi scrutatori cominciamo ad estrarre le schede. Poche le sorprese e nessuna fetta di mortadella tra le schede con la scritta “mangiatevi anche questa”.

Si va abbastanza celermente, sono in una squadra collaudata, le politiche di settembre sono stati un vero banco di prova, le regionali, con appena quattro candidati sarà una passeggiata.

Il voto disgiunto crea qualche dubbio, ma poi dopo aver contato più volte, il segretario, calcolatrice alla mano, dichiara “il conto torna”. Ed eccoci al gioco delle matriosche. Ogni busta ha un suo preciso contenuto e deve rispettare un preciso ordine. I verbali devono riportare tutti i dati, anche le matite mancanti, fortunatamente non nel nostro caso, e devono essere firmati da tutti i componenti del seggio. Bisogna impacchettare le schede non utilizzate, dall’ufficio elettorale fanno sapere che non saranno accettati scatoloni e nel caso qualcosa non rispetti le procedure il seggio non sarà conteggiato. La pressione è forte, la presidente sente l’ansia montare, io conto e riconto le preferenze attribuite ai candidati, so di non aver fatto errori ma la mia poca esperienza mi impone di controllare più volte. Sono le diciannove, il segretario dichiara concluse le operazioni di spogli, tutte le operazioni sono state effettuate, sul volto dei miei compagni d’avventura sorge un bel sorriso “ce l’abbiamo fatta”.

Tornando a casa al telegiornale, il Presidente Fontana ringraziava i suoi elettori per la vittoria appena poche ore dalla chiusura del seggi, e ho pensato “Caro presidente usa bene questi cinque anni, perché in fondo, per una piccola parte ho contribuito anche io a contare il tuo successo”.

PS. Con i colleghi di seggio ci rivedremo, qualcuno mi deve uno Spritz per la scommessa sull’affluenza.

Roberto Spampinato

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