In Comune

Segrate, città (troppo) ricca per accogliere

Segrate si conferma ancora una volta tra le città più ricche d’Italia per reddito pro-capite.

Il primato del benessere

Più ricca di Milano, più di Courmayeur, più di Forte dei Marmi e di molte altre località da cartolina frequentate da élite e vacanzieri di lusso. Un primato che non sorprende: da anni Segrate figura stabilmente tra le prime dieci del Paese, a riprova di un benessere solido, strutturale, non effimero.

Non è un’anomalia, ma il risultato di un mix preciso: posizione strategica alle porte di Milano, presenza di quartieri residenziali di pregio come Milano 2, insediamenti di multinazionali e servizi ad alto valore aggiunto. A fare la differenza, però, è anche la composizione sociale: manager, liberi professionisti, imprenditori, una borghesia metropolitana che ha scelto Segrate come isola felice, lontano dal caos urbano ma connesso con il cuore economico del Nord Italia.

Il risanamento: rigore e sacrifici, ma a che prezzo?

Eppure, dietro la classifica dei numeri si cela una domanda più sottile: cosa rende davvero ricca una città? Solo il reddito medio, o anche la qualità della vita, l’equilibrio tra sviluppo e coesione sociale, la capacità di investire nel futuro e attenzione per le fasce più deboli? 

Dopo anni di predissesto, finalmente la città torna a respirare. Riprende in mano le redini del proprio destino, riconquista il controllo sulle scelte, sulle priorità, sulle finanze. Il debito è stato ripianato, non senza sacrifici: i tagli ai servizi – inevitabili, dolorosi – sono stati accolti dalla cittadinanza con un misto di rassegnazione e responsabilità. C’era un’alternativa concreta? No. E l’attuale amministrazione, piaccia o no, ha fatto ciò che serviva per portare i conti fuori dalle sabbie mobili.

Progetti, rendering e realtà. Dalle foreste nel cemento ai bandi acrobatici: la fantasia al potere

Nel frattempo, mentre i contabili facevano quadrare i numeri con zelo svizzero, la politica si è ricordata di dover dimostrare la propria utilità. E allora giù con le proposte: a raffica, fantasiose, talvolta spericolate. Un tripudio di idee per attirare capitali privati e arraffare qualche bando pubblico, come in una caccia al tesoro a colpi di rendering.

Nel fervore creativo, la giunta ha collezionato progetti degni di un laboratorio di architettura utopica: visioni tanto ambiziose quanto slegate dalla realtà, città del futuro sospese nel nulla, isole galleggianti, immaginarie foreste urbane cresciute – si suppone – sul cemento e sull’asfalto. Un po’ Blade Runner, un po’ Bosco Verticale in trasferta.

Ma la politica – si sa – vive anche di questo: slanci, narrazioni, promesse. È fatta di ciò che si vede e di ciò che si spera. Di concretezza, certo, ma anche di scenari evocati, di futuri immaginati.

Purtroppo, come spesso accade quando si ha fretta di dimostrare l’efficacia del proprio operato, si finisce per guardare il dito anziché la luna. L’urgenza di mostrare risultati tangibili, soprattutto in una fase di ripartenza, rischia di oscurare la visione d’insieme, sacrificando la coerenza strategica sull’altare della rendicontazione immediata.

Una casa confiscata, una scelta sbagliata

Tra i tanti progetti messi in campo dall’amministrazione Micheli, uno in particolare ha sollevato più di una perplessità: la riqualificazione di alcuni edifici confiscati alla mafia. Un’iniziativa in sé lodevole, ma resa problematica da un meccanismo burocratico complesso – in fondo alla pagina gli articoli che lo spiegano nel dettaglio – che, per consentire l’accesso ai fondi del PNRR, ha richiesto un accordo intercomunale con Pioltello. In concreto, Segrate ha dovuto mettere a disposizione un proprio immobile per permettere l’attivazione del progetto su scala sovracomunale, sottraendolo alla sua funzione sociale e Pioltello si ritrova un immobile che non sa cosa farsene o che non ri ricorda di avere a disposizione.

La scelta è ricaduta su un bene dal forte valore simbolico e sociale: la villetta di via Pertini, confiscata alla criminalità organizzata e inizialmente destinata –secondo un mandato preciso – a finalità sociali. Più precisamente, a un progetto di accoglienza per madri in difficoltà con figli minori. Una delle destinazioni d’uso più alte e coerenti per un immobile sottratto alla mafia: trasformare ciò che era segno di sopraffazione in uno spazio di protezione, cura e rinascita.

Eppure, l’amministrazione Micheli, con l’assessore Bellatorre, ha scelto una strada diversa. Ha stabilito che quella casa dovesse assolvere ad altre funzioni, che avesse «una pluralità di destinazioni», ma non quella per cui era nata, né quella che stava concretamente svolgendo: offrire un tetto, un rifugio, un’opportunità a donne fragili con figli piccoli. 

Una decisione che ha il sapore della discontinuità forzata. Non una revisione dettata da urgenze strutturali, ma da una visione politica che ha ritenuto più funzionale – o più spendibile – destinare l’immobile ad altro. Una decisione che spezza una traiettoria di senso: quella che lega il recupero dei beni mafiosi a un impegno concreto verso le fragilità sociali, alla restituzione di giustizia nei fatti e non solo nelle parole.

Ventinove bambini esclusi

Oggi, a distanza di sette mesi, la villetta di via Pertini è chiusa. Silenziosa, abbandonata. L’erba alta non è solo incuria: è un simbolo. Un segno visibile, quasi ostentato, di una sconfitta. Non solo della politica, ma dell’intera città. Una città tra le più ricche d’Italia, che pure non è riuscita – o non ha voluto – trovare una soluzione per accogliere ventinove bambini. Ventinove richieste d’aiuto che la Onlus La Rosa di Gerico ha dovuto respingere, impotente, per mancanza di spazi.

Tra quei ventinove, nove erano casi di “Codice Rosso“, così come definiti dalla legge del luglio 2019: minori coinvolti in situazioni gravi, segnate da atti persecutori, violenze domestiche, maltrattamenti. Nove storie di emergenza e vulnerabilità che avrebbero potuto trovare protezione proprio lì, in quella casa confiscata alla criminalità, che avrebbe potuto – dovuto – diventare un presidio di legalità e accoglienza.

E invece no. Quella casa resta muta, mentre le sue stanze vuote raccontano un fallimento che va oltre l’amministrazione di turno. È la fotografia di un paradosso: in un territorio dove il reddito pro-capite è tra i più alti d’Italia, non si è riusciti a garantire il minimo sindacale di civiltà e solidarietà.

Non basta vantarsi di bilanci risanati o di progetti visionari se poi, alla prova dei fatti, si chiudono le porte proprio a chi ha più bisogno. Perché una città non si misura solo con il PIL dei suoi abitanti, ma con ciò che fa – o che non fa – per i più fragili.

Roberto Spampinato

Recent Posts

C’è aria di elezioni… e di resurrezioni politiche

Tra resurrezioni politiche e promesse riciclate, Segrate si prepara alla nuova stagione elettorale. Vecchi problemi…

2 mesi ago

Escusatio non petita: Segrate scopre solo ora il problema dei trasporti?

Caro sindaco Micheli,  leggiamo la sua lettera aperta e ci sorge spontanea una domanda: dov’era…

2 mesi ago

Il “celodurismo” di certa politica

Il quattro luglio scorso la Polizia Locale aveva fatto accesso nella villetta di via Pertini,…

7 mesi ago

Chiusa d’ufficio la Casa delle Mamme della Onlus Rosa di Gerico

Con i sigilli della Polizia Locale si conclude il braccio di ferro tra la Onlus…

10 mesi ago

Via la Onlus, la politica ha deciso

Continua il braccio di ferro tra la Onlus, che denunciava il tentativo del Comune di…

12 mesi ago

Lacrime e commozione in Consiglio comunale

È proprio il caso di cominciare dalla fine di questa storia, lunga ben 12 anni…

1 anno ago